Othello è donna. Amazzone, donna guerriera, ma anche dolce e condiscendente coniuge di Desdemona. Il rischio, nell'Othello di Tabula Rasa, stava nel ridurre il gioco scenico shakespeariano, crudele e inesorabile, alla "trovata", alla novità introdotta a forza nel tessuto del dramma. Ma la scommessa va in porto, l'azzardo si rivela fecondo. E il vissuto del testo s'impregna di un concetto chiave: quello di slittamento. Il personaggio Othello "slitta" da maschile a femminile e a questo punto, anche la caratura dei personaggi slitta: la "diversità" di Othello non sta più nell'essere, un negro rozzo e violento - nel copione, non compaiono cenni al colore della pelle di Othello - che sposa in segreto un bianco giglio dell'aristocrazia veneziana, ma nel suo essere donna e guerriero al tempo stesso. Gli altri personaggi si rivolgono a lei/lui con la deferenza e l'ammirazione che si rivolgono a un capo, ma con appellativi al femminile: "Mia signora. La mia padrona.". Lo slittamento, ufficialmente accettato, filtra sottotraccia, in queste specie di lapsus. Specularmente, Jago, che ormai la letteratura ufficiale denota come omossessuale represso e geloso, slitta ad amante inespresso e non corrisposto di Othello, invidioso di Desdemona, sposa-bambina innamorata di una donna-virago dominante. Jago, imperscrutabile cuore di tenebra, è il motore della vicenda, non a caso interpretato dall'attore-regista. Metteur en scene che dipana la vicenda ordinando a fischi gli spostamenti scenici, Jago appare come un Demiurgo malvagio, un manipolatore nel senso più concreto della parola. Manipola i destini dei personaggi impastando una creta grigia, color del cemento. Stregone voodoo, modella pupazzetti su cui scaricare il suo livore; negromante, imprime sui personaggi il suo marchio, spalmando loro addosso creta, come per congelarli nel grigio della tomba. Un gesto simbolico cui, non a caso, sfugge solo Emilia, colei che nel finale, con la sua confessione, lo rovinerà. Il tutto immerso in un'atmosfera rituale: dall'inizio, quando al proscenio tutti gli interpreti, mascherati, eseguono una serie di movimenti tipici delle arti marziali, ieratici e rituali. In questo Oriente favolistico, irreale, reso ancora più onirico dalla colonna sonora, "Othello" diventa così paradossalmente un dramma sacro in un mondo profano, svilito, ormai privo della presenza divina. Alla fine, quel che rimane è il silenzio di Jago, il suo negare ogni spiegazione, ogni teleologia: "Sapete quel che sapete. D'ora in avanti non dirò una parola" risponde a chi lo interroga sul 'perché' della sua macchinazione. Ancora una volta, il resto è silenzio.