Recensioni

Il peso soffocante di una piuma - 19 Agosto 2001

Articolo di Simone Azzoni pubblicato sul quotidiano "L'Arena" di Verona il 19 agosto 2001.

Un assolo femminile di violenza inesplosa

Sara Callisto nel drammatico monologo di una matricida

Sara Callisto nel drammatico monologo di una matricida
Il monologo di Sara Callisto, tratto dal testo I giorni dell'ira (Paolo Crepet e Giancarlo De Cataldo) parte brutalmente dal punto più basso della tragedia. Il peso soffocante di una piuma , in scena fino a oggi grazie alla compagnia Tabula Rasa nel Chiostro di S. Maria in Organo, s'apre già nella dolorosa meditazione di Simona sul matricidio commesso. Un violento flusso di coscienza che investe quello biografico preparando il discreto pubblico accorso alla tragedia finale. La biografia è la confessione di una esistenza malata, forzata da una epilessia che condanna alle protezioni ossessive della madre. Una donna «di porcellana» che soffoca le figlie e la libertà del marito, che si isola nelle sue manie, nell'iperprotettività e nella bulimia finale. Dove non si perde in una compiaciuta celebrazione delle attenuanti sociali, psichiche e giuridiche alla colpa, il testo figliocentrico dei due autori sembra allargare la desertica solitudine della protagonista a quella delle comparse ricordate nel soliloquio (il padre, la sorella, il fidanzato e la madre stessa).Così il monologo di Crepet-De Cataldo con elucubrati "perché" copre la più interessante scia di "non-detti". Le spiegazioni professionali degli autori si contorcono pericolosamente su se stesse arrancando nei territori della giustificazione a tutti i costi. Acrobazie che rompono la lucida follia della protagonista tesa invece a costruire una sua normalità in conflitto.
Ma il ritmo diretto da Giancarlo dalla Mura rimane sostanzialmente da elettrocardiogramma: una crisi elettrica con picchi deliranti e abissi di un'apparente calma piatta che ci ricorda l'afa de Lo straniero di Camus.
La regia, che di tanto in tanto sdoppia la protagonista con una voce fuori campo, ha voluto innanzitutto una musica (composta appositamente dal gruppo Single) a tratti irrespirabile come la cappa soffocante della responsabilità insopportabile. E poi la scena, scatola nera di pinteriana memoria: asfissiante chiusura che rimpicciolisce l'attrice rannicchiata tra quattro sedie diverse.Sara Callisto, mai completamente distesa se non qualche rara volta nella seconda parte, s'aggira acquattata tra le seggiole, schiacciata al suolo come una tarantola nera, ricolma di violenza inesplosa. Guata il pubblico con ambiguità ferina, tra stupore e paura. E nonostante l'interruzione forzata per un breve scroscio d'acqua, mantiene l'ansimare ansiogeno, quel sintomo cronico della fatica di resistere con l'autocontrollo tra i fantasmi del delitto e l'irrequietezza delle sue stesse specchiature. Un assolo tirato e furente, a stento sereno solo dopo un'ora di spettacolo per un sorriso forzato ai meritati applausi finali.

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