Recensioni

Othello - 27 agosto 2001

Articolo di Simone Azzoni pubblicato sul quotidiano "L'Arena" di Verona il 27 agosto 2001.

Un Othello didascalico da commedia dell’arte

Il nuovo Othello della compagnia Tabula Rasa, visto al chiostro di Santa Maria In Organo, forse farà discutere. Anche se quello che la regia di Solimano Pontarollo voleva dirci è fin troppo chiaro. Othello come azione, come fare teatro, gioco visibile, tema della diversità e delle maschere. Alcune delle premesse del pieghevole sono state lodevolmente rispettate, anzi. Ma a nostro giudizio si è forse «insegnato» un po' troppo. Pontarollo che si è ritagliato il ruolo di Jago, ha dato ampio spazio alla didascalia del fare teatro, della sua visibilità scenica.Il nuovo Othello della compagnia Tabula Rasa, visto al chiostro di Santa Maria In Organo, forse farà discutere. Anche se quello che la regia di Solimano Pontarollo voleva dirci è fin troppo chiaro. Othello come azione, come fare teatro, gioco visibile, tema della diversità e delle maschere. Alcune delle premesse del pieghevole sono state lodevolmente rispettate, anzi. Ma a nostro giudizio si è forse «insegnato» un po' troppo. Pontarollo che si è ritagliato il ruolo di Jago, ha dato ampio spazio alla didascalia del fare teatro, della sua visibilità scenica.
Gli attori (Laura Nicolini, Elena Modugno, Elisabetta Turco, Andrea Caltran, Francesco Dalla Riva, Roberto Macchi, Claudio Castagnetti) indossano le maschere della commedia dell'arte che confondono, che amplificano per il numeroso pubblico le strade da percorre (vedi Brighella e Arlecchino personaggi aggiunti). A lato del proscenio, Jago stesso, come Demiurgo, creatore dei destini e quindi dello spettacolo (in senso lato) modella e manipola della creta da distendere sui corpi degli attori per trasmettere loro il fare drammaturgico. Con fischi secchi richiama gli attori sul palco, quasi marionette di cui riprendere le fila continuamente perdute.
Si introduce e si finisce la tragedia con una danza tra il samurai e il karatè per accentuare la creazione libera dello spazio in cui collocare eventi la cui portata simbolica li astrae verso il mito. Si sceglie una musica da acquario elettronico creando un asincrono tra testo e parola, parola e musica, gesto e scena con l'effetto finale di un vuoto aereo in cui galleggiano gli attori e l'ineluttabilità dei fatti. Tutto in una scena elegante e raffinata con tre pedane e tre pennoni per vele di nave o croci per la tragedia finale.
La trama in questa razionalità programmata si raffredda anche se la scelta di un Othello (Laura Nicolini) al femminile muove effettivamente le tensioni emotive dei personaggi. La sua gelosia (e con essa la lotta per il potere) non è il motore del testo che, questo sì, viene rimandato a qualcosa di non espresso. «Non sono quello che sono», «usa la ragione per soffocare... sapete quel che sapete» rimangono perni salienti del testo su cui la regia bene ci lascia intuire una vicenda inventata nella mente di Jago e tradotta in tragedia da Othello.
Jago stesso nel finale, e lo si sottolinea, rimane l'unico sconfitto, colui che non trova rifugio se non nella negazione della sua forza: la parola. Lui che non ha passioni, le suscita solamente, non persegue l'azione perché non ha guerre da combattere. Con sé ha solo l'invenzione come un autore che costruisce la trama che la richiama con i fischi o la rimpasta come creta.

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